essenzialmente inezie
"Capisco, troppo tardi, ma capisco. È un miracolo se non moriamo tutti per questo nostro capire sempre troppo tardi. Ma in effetti moriamo di quello, di quello soltanto." Philip Roth
da inezie essenziali a essenzialmente inezie
Cari amici, eccomi qui. Se siete arrivati qui è perché siete passati sul mio blog storico e ve ne ringrazio. L'ho lasciato lì, dopo dieci anni di vita, dal 2007 al 2017. Era andato rarefacendosi e inaridendosi, un lento morire che mi dava anche disagio.
Quando, in cerca non so di cosa, rileggevo un vecchio post toccavo dolorosamente con mano quanto io fossi cambiata e quanto l'identità di quella marina si fosse sfarinata. E non conta se quella marina valesse poco o tanto. Ero io e non lo sono più.
Perciò ho fatto una capriola grammaticale e ho dato inizio al blog del mio presente, della marina che sono oggi.
Da "inezie essenziali" a "essenzialmente inezie" il significato slitta e non di poco.
Quando scrivevo "inezie essenziali" ritenevo, evidentemente, che nelle inezie che via via venivo scrivendo ci fosse qualcosa di essenziale che chiedeva di essere scritto e forse meritava di essere letto. Essenziale per me e, perché no, per qualcun altro nella blogosfera; qualcuno che si scoprisse in sintonia con il mio modo di sentire e, almeno in parte, vi si riconoscesse.
Ma trasformando quell'aggettivo "essenziali" in un avverbio "essenzialmente" il significato cambia e non superficialmente.
Infatti "essenzialmente inezie" dice che quello che scrivo è fatto alla radice di inezie, che smettono di essere essenziali.
Se sono rimasta comunque nell'ambito lessicale della essenzialità e della inezia una ragione, un significato c'è. Per ora è confuso anche per me, ma penso che pian piano verrà fuori.
Comunque, perché scriverle queste piccolezze, questi nonnulla, queste minuzie? Quanto narcisismo mi porta a scriverle?
In tutti noi che affidiamo a un blog i nostri pensieri, ricordi, versi o versetti, racconti, riflessioni, un po' di narcisismo è sempre presente. Almeno credo.
Ma, dato per scontato il mio tasso di narcisismo, per non farmi torto, tra le ragioni del mio scrivere aggiungo la mia solitudine e il mio bisogno di comunicare i miei nonnulla di oggi.
A presto, marina
martedì 15 maggio 2018
mercoledì 2 maggio 2018
bene, grazie e tu?
-Ciao, come stai?
-Bene e tu, come va?
-Bene.
Noi, persone comuni.
Vicini. Amici, anche.
E ci mentiamo.
Perché?
Chi vogliamo riparare, noi o loro?.
Ma possiamo sempre riderci sopra, come fa Istvan Orkéni nelle sue Novelle da un minuto.
Sulle mie condizioni di salute.
-Buongiorno.
-Buongiorno.
-Come sta?
-Bene, grazie.
-E la salute come va?
-Non ho motivo di lamentarmi.
-Ma perché si trascina dietro quella corda?
-Corda?-chiesi, guardandomi alle spalle.- Quelli sono i miei intestini.
lunedì 16 aprile 2018
panni al vento
E mi ricordano alcuni versi di Pessoa. A memoria non li ricordo, ma li ho ritrovati ed eccoli qui.
I panni stesi al vento
sembrano gente che vive
si muovono in gesti incoscienti
e salutano il mio pensiero
che sta dormendo e non vede.
Ah, quel che fanno nel mondo
gli uomini nei loro gesti
non è più sicuro o profondo
dell'aria fra i panni, in fondo
ai cortili che stanno sotto il cielo.
Marina Velca 2012
martedì 3 aprile 2018
il confine invalicabile
da Alexis di Marguerite Yourcenar
giovedì 29 marzo 2018
ascolto...
Eppure per molto tempo -anni recenti- ho pensato che finalmente avevo imparato tutto, sapevo tutto, avevo compreso tutto.
Sarei presto uscita di scena sapendo.
La confusione estrema, lo choc della incomprensione più totale, non era durata più di un momento.
Questo lo sapevo solo io, ma di quello che sapevano o credevano di sapere gli altri non mi importava niente, né di quello che pensavano, né se mi pensavano, né se parlavano di me, se mi osservavano, se avevano o non avevano opinioni su di me. Né quali.
In effetti potrei dire che in blocco del mondo e dei suoi abitanti non mi curavo più, non mi interessavano.
Navigavo sulla mia nuova consapevolezza che non aveva nessun bisogno di conferme.
Sapevo da dove e perché eravamo venuti e sapevo dove saremmo andati.
Dal nulla, verso il nulla, senza un perché. Ecco là, tutte le domande classiche avevano avuto risposta. E questo dava un senso di tranquillità.
Nessuno si azzardi a suggerirmi la parola accettazione!
Tra le cose che sapevo c'era innanzitutto il fatto -così banale in fondo!- che non si trattava di accettare. Accettare implica la libertà di non accettare. Ma io sapevo, sapevo, che questa libertà non l'avevamo, non l'avevo, non l'aveva né mai l'avrebbe avuta nessuno.
Se avevo avuto dei dubbi, ecco che non ne avevo più, se mi ero interrogata e avevo interrogato, ecco che non ne sentivo più il bisogno.
E il senso? Il senso di cui ero sempre andata a caccia? Il senso che mi preoccupavo di cercare, annodando fili, cercando riscontri, somiglianze, analogie, ripetizioni e i piccoli scopi raggiunti e gli altri scostatisi dalla meta? Del senso delle vite e della mia vita non mi curavo più. La consideravo una ricerca più che insensata trascurabile. Diciamolo pure, tutte le storie che da sempre avevano fatto i filosofi, quel loro arrovellarsi sul senso ultimo della vita, erano state superflue, eccedenti rispetto al vivere, inessenziali, ecco! Quante energie sprecate! Quanti talenti, quanta genialità usata male!
Presunzione, direte voi. Ovviamente! Se qualcuno crede di sapere ormai tutto non può che sentirsi al di sopra del volgo, e presuntuosamente guardarlo dall'alto. Non guardarlo, anzi.
E dunque, a che pro cercare maestri se io stessa avrei potuto -posto che mi fosse interessato- essere maestra per gli altri?
Ma ora.
Ora no.
Ora ho un altro bisogno. O meglio sono tornata a un altro bisogno.
Il bisogno di chiedere, interrogare, cercare, porre domande.
Ridatemi i filosofi, i poeti, i grandi scrittori; ridatemi la frase colta al volo in una conversazione tra amiche o sulla bocca di un giornalaio, nella esclamazione di una vecchia che fatica a salire sul marciapiede, nel giardiniere il cui ginocchio cede nello scendere le scale, nella ragazza che sul podio delle Olimpiadi esulta. La frase, la piccola frase, quella in cui è raccolto tutto, ma proprio tutto perché
"[importante è] il dettaglio, l'immensità del dettaglio, la forza del dettaglio, il peso del dettaglio, la ricca sconfinatezza del dettaglio." Questo me lo aveva insegnato tanto tempo fa Philip Roth.
Il piccolo gesto, l'alzata di spalle, la pacca sulle spalle e la piccola frase.
Drizzo di nuovo le orecchie al mondo. Resto in disparte -se appartenessi a una nobile casata in disparte potrebb'essere la mia divisa- ma osservo e leggo e ascolto e prendo tutto quello che mi capita di osservare e ci penso su.
Sono tornata allo stato di ignoranza, di oscurità in cui tutti ci muoviamo. Quello stato che Einstein ha chiamato "il mistero della vita senziente" e se lo diceva Einstein possiamo dirlo tutti.
E con Christa Wolf torno a dire:
Prima di addormentarmi penso che di giornate come questa è fatta la vita. Punti che alla fine, se abbiamo avuto fortuna, sono congiunti da una linea.Ma penso anche che possono disgregarsi in un accumulo insensato di tempo passato, e che solo un costante, fermo sforzo dà senso alle unità di tempo di cui viviamo...
Busto di Socrate-Epoca romana- Museo del Louvre
domenica 25 marzo 2018
ops!
Cercherò di mettere ordine. Per ora credo di aver rintracciato i commenti che ho ricevuto fin qui e di averli pubblicati. Se non è così mi scuso. E vi ringrazio per la pazienza.
sabato 24 marzo 2018
non chiamatemi anziana
Anziano vuol dire solo che è venuto prima (da antea latino, ma del latino volgare del XIII secolo).
Prima di chi? Vorrei chiedere ai parlanti del duecento. Non vedete che così mi definite in relazione a un altro? Qualcuno che è nato dopo di me?
Ma io voglio essere definita solo in relazione a me stessa, al mio nascere, al mio vivere, al mio morire. Ai miei anni. Al mio tempo di vita.
Perciò chiamatemi vecchia.
E siate meno ipocriti.